Un piatto, un colore, un pensiero, un racconto, un bijoux, un ricetta e tutto ciò che mi incuriosisce...
lunedì, ottobre 30, 2006
Il Natale quando arriva, arriva
E noi proviamo a farlo con le nostre mani.
Impariamo a fare regali fatti con le nostre mani.
Facciamo regali, pensando a chi daremo quella cosa che abbiamo fatto con le nostre mani..
Quella azzura è una palla di Natale di polistirolo, ricoperta con cera scaldata e tirata con le nostre mani e decorata con perline e passamaneria.
Quella blu e rossa è una palla di Natale di polistirolo, ma fatta con il metodo patchwork. Si intaglia in disegno con un cutter e si infila poi la stoffa nella fessura. Si ricopre poi con passamaneria puntata con spillini piccoli.
I pancakes
Farina, uovo, latte, malto, pochissimo olio, un pizzico di lievito e un pizzico di sale.
Al posto del succo d'acero, una marmellata ai frutti di bosco senza zucchero ed ecco una colazione da alternare alle noiose fette biscottate.
domenica, ottobre 15, 2006
Sobrietà
L'enciclica centesimus anno, citando gli effetti del consumismo propone di riaffermare una gerarchia di bisogni: prima i bisogni spirituali e poi bisogni materiali. Solo in questa dimensione ci orienta su "essere" e non su "avere".
L'uomo è visto come un consumatore di beni, in pratica un soggetto che vive per consumare e non viceversa.
Quanti ormai, fanno il passo più lungho della gamba indebitandosi fino a raggiungere soglie di povertà spaventosa?
Ho scoperto che esiste il "marketing del desiderio" e che viene usato dai pubblicitari.
Si cerca un desiderio diffuso, si trova il modo di mettere in rapporto il desiderio e il prodotto da vendere, si costruisce così un ponte, su cui il cliente passa per appagare il suo sogno ritrovandosi poi con un illusione sterile, perchè quel sogno non si avvera, ma in compenso l'uomo spesso si indebita.
Quindi noi non compriamo yogurth, ma compriamo salute e benessere, non compriamo un auto per spostarci, ma compriamo prestigio e importanza, non compriamo un dentifricio per pulire i denti, ma compriamo bellezza e voglia di conquista, non compriamo un amaro, ma compriamo voglia di avventura, non compriamo una crema per evitare che la pelli si secchi, ma compriamo una crema che ci faccia sembrare più giovani...in pratica spendiamo soldi per avverare sogni..che poi non si avverano mai.
L'uomo è visto come un consumatore di beni, in pratica un soggetto che vive per consumare e non viceversa.
Quanti ormai, fanno il passo più lungho della gamba indebitandosi fino a raggiungere soglie di povertà spaventosa?
Ho scoperto che esiste il "marketing del desiderio" e che viene usato dai pubblicitari.
Si cerca un desiderio diffuso, si trova il modo di mettere in rapporto il desiderio e il prodotto da vendere, si costruisce così un ponte, su cui il cliente passa per appagare il suo sogno ritrovandosi poi con un illusione sterile, perchè quel sogno non si avvera, ma in compenso l'uomo spesso si indebita.
Quindi noi non compriamo yogurth, ma compriamo salute e benessere, non compriamo un auto per spostarci, ma compriamo prestigio e importanza, non compriamo un dentifricio per pulire i denti, ma compriamo bellezza e voglia di conquista, non compriamo un amaro, ma compriamo voglia di avventura, non compriamo una crema per evitare che la pelli si secchi, ma compriamo una crema che ci faccia sembrare più giovani...in pratica spendiamo soldi per avverare sogni..che poi non si avverano mai.
martedì, ottobre 10, 2006
musica e poesia
Quando la musica diventa tutt'uno con le parole e le parole ti portano lontanto, così lontanto che non vedi nulla neanche se stringi gli occhi...
Salvatore Di Giacomo
Era de Maggio (1885) Versi di S. Di Giacomo — Musica di P. M. Costa
Era de maggio
e te cadeano ‘nzino a schiocche
a schiocche li ccerase rosse...
Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.
Era de maggio — io, no, nun me scordo —
na canzona cantàvamo a ddoje voce:
cchiù tiempo passa e cchiù me n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce.
E diceva. «Core, core! core mio, luntano vaje;
tu me lasse e io conto ll’ore, chi sa quanno turnarraje!
» Rispunnev’io: «Turnarraggio quanno tornano li rrose,
si stu sciore torna a maggio pure a maggio io stonco cca,
si stu sciore torna a maggio pure a maggio io stonco cca».
E so’ turnato,
e mo, comm’a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m’annamuraje,
ùsi t’allicuorde, nnanze a la funtana:
l’acqua llà dinto nun se secca maje
e ferita d’ammore nun se sana.
Nun se sana; ca sanata si se fosse, gioia mia,
mmiezo a st’aria mbarzamata
a guardare io nun starria!
E te dico — Core, core! core mio, turnato io so’:
torna maggio e torna ammore, fa de me chello che vuo’
torna maggio e torna ammore, fa de me chello che vuo'
Salvatore Di Giacomo
Era de Maggio (1885) Versi di S. Di Giacomo — Musica di P. M. Costa
Era de maggio
e te cadeano ‘nzino a schiocche
a schiocche li ccerase rosse...
Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.
Era de maggio — io, no, nun me scordo —
na canzona cantàvamo a ddoje voce:
cchiù tiempo passa e cchiù me n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzona doce.
E diceva. «Core, core! core mio, luntano vaje;
tu me lasse e io conto ll’ore, chi sa quanno turnarraje!
» Rispunnev’io: «Turnarraggio quanno tornano li rrose,
si stu sciore torna a maggio pure a maggio io stonco cca,
si stu sciore torna a maggio pure a maggio io stonco cca».
E so’ turnato,
e mo, comm’a na vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s’avota,
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m’annamuraje,
ùsi t’allicuorde, nnanze a la funtana:
l’acqua llà dinto nun se secca maje
e ferita d’ammore nun se sana.
Nun se sana; ca sanata si se fosse, gioia mia,
mmiezo a st’aria mbarzamata
a guardare io nun starria!
E te dico — Core, core! core mio, turnato io so’:
torna maggio e torna ammore, fa de me chello che vuo’
torna maggio e torna ammore, fa de me chello che vuo'
sabato, ottobre 07, 2006
Lo zio Podger
Credo che molti si ritroveranno in questo brano, che mi fa ridere ogni volta che lo rileggo:
Lo zio Podger appende il quadro "Tre uomini in barca (per non dir del cane)" La sera dunque ci riunimmo di nuovo per elaborare i nostri piani. Harris disse: "Ora, per prima cosa, dobbiamo decidere quel che porteremo con noi. Tu prendi un pezzo di carta e scrivi J., e tu, George, porti qui il listino del droghiere e anche una matita, dopo di che io preparerò l'elenco." Harris è fatto così... sempre pronto ad assumersi il gravame di tutto, e a scaricarlo sulle spalle altrui. Mi ricorda sempre il mio povero zio Podger. Non si è mai visto un trambusto come quello che accadeva in casa di mio zio Podger quando egli si disponeva a eseguire qualche lavoro domestico. Per esempio, c'era un quadro arrivato fresco dal corniciaio, ritto contro una parete della sala da pranzo, in attesa che qualcuno lo appendesse; la zia Podger domandava che cosa si doveva fare con quel quadro, e lo zio Podger rispondeva: "Oh, lascia fare a me. Nessuno se ne preoccupi, nessuno. Ci penso io." Allora si toglieva la giacca e cominciava. Mandava la domestica a comperare sei pence di chiodi, poi la faceva raggiungere da uno dei ragazzi per dirle quanto dovevano essere lunghi; e da quel momento, a poco a poco, mobilitava tutta la famiglia. "Tu vammi a prendere il martello, Will" gridava "e tu portami la riga, Tom; mi occorrerà la scaletta, e sarà meglio portarmi anche una sedia di cucina; ehi, Jim, corri dal signor Goggles e digli: "Il babbo le manda tanti saluti e spera che stia meglio della sua gamba e dice se può prestargli la sua livella". Tu, Maria, non te ne andare perché avrò bisogno di qualcuno che mi regga il lume; e quando la ragazza ritorna, bisognerà che esca di nuovo a prendere un pezzo di cordone da quadri; Tom!... dov'è Tom?... Tom, vieni qui; tu mi porgerai il quadro." Allora, lo zio sollevava il quadro, se lo lasciava sfuggire di mano e il quadro usciva dalla cornice; lui tentava di salvare il vetro e si tagliava un dito; dopo di che, si metteva a saltellare per la stanza, alla ricerca del proprio fazzoletto. Non riusciva a trovare il fazzoletto perché era nella tasca della giacca che si era tolto e lui non sapeva dove l'aveva messa e tutta la famiglia doveva sospendere la ricerca degli utensili per mettersi alla caccia della giacca; intanto, lui continuava a girare come una mosca senza testa, ostacolando le ricerche. "Insomma, non c'è proprio nessuno in tutta la casa che sappia dov'è la mia giacca? Non ho mai visto gente simile, in vita mia, parola d'onore. Siete in sei e non riuscite a trovare la giacca che mi sono tolto appena cinque minuti fa! Roba da matti..." In quel momento, si alzava dalla seggiola su cui, frattanto, si era lasciato cadere, e scopriva di essere stato seduto proprio sulla giacca. "Ormai, potete smettere di cercarla!" gridava allora. "L'ho trovata da solo. Se aspettavo che me la trovaste voialtri, tanto valeva che mi rivolgessi al gatto!" Quando poi si era sprecata una mezz'ora per medicargli il dito, si era provveduto un vetro nuovo, e gli utensili, la scaletta, la seggiola e la candela erano stati portati in sala, lo zio Podger faceva un altro tentativo, mentre tutta la famiglia, compresa la cameriera e la donna di fatica, gli formava attorno un semicerchio, pronta ad aiutare. Due persone dovevano tener ferma la sedia, un'altra doveva aiutarlo a salirci sopra e dargli una mano per stare in equilibrio, una quarta gli porgeva il chiodo, una quinta il martello, e lui prendeva il chiodo e lo lasciava cadere. "Ecco!" diceva in tono esulcerato "adesso, se n'è andato il chiodo." Noi dovevamo inginocchiarci tutti per esplorare il pavimento e cercare il chiodo, mentre lo zio brontolava e domandava se lo avremmo costretto a stare lassù tutta la sera. Finalmente, si trovava il chiodo, ma intanto lui aveva perso il martello. "Dov'è il martello? Dove ho cacciato il martello? Accidenti! Ve ne state lì in sette, a bocca aperta, e non sapete dove ho cacciato il martello!" Si trovava il martello, ma lui, intanto aveva perso di vista il segno che aveva fatto sulla parete per piantarci il chiodo; a uno a uno, salivamo tutti accanto a lui, sulla sedia, per vedere se ci riusciva di trovarlo; ognuno lo scopriva in un posto diverso, e lo zio ci dava degli imbecilli e ci ordinava di scendere. Prendeva la riga, misurava daccapo, constatava che il chiodo doveva distare dall'angolo la metà di settantacinque centimetri e sette millimetri, tentava di fare il calcolo a memoria e andava fuori dai gangheri. Ognuno di noi tentava, allora, di fare lo stesso calcolo a memoria, ma tutti arrivavamo ad un risultato diverso e ci deridevamo a vicenda. Nel trambusto generale, ci si dimenticava il numero originario e lo zio Podger doveva riprendere la misura. Questa volta, si serviva di un pezzo di spago, ma, al momento critico, quando, da quel vecchio tonto che era, si stava sporgendo dalla sedia a un angolo di quarantacinque gradi e tentava di raggiungere con la mano un punto che era almeno una spanna più in là del massimo cui poteva arrivare, lo spago gli sfuggiva dalle dita, e lui piombava sul pianoforte e produceva un efficace effetto musicale, colpendo i tasti simultaneamente con la testa e col corpo. La zia Maria diceva che non poteva permettere ai bambini di rimanere ad ascoltare il linguaggio dello zio Podger. Finalmente, lo zio riusciva a fissare di nuovo il punto dove andava piantato il chiodo, vi appoggiava la punta del chiodo con la sinistra e prendeva il martello con la destra, ma al primo colpo si schiacciava il pollice, dopo di che, con un grido di dolore,lasciava cadere il martello sui piedi di qualcuno. La zia Maria osservava blandamente che se un'altra volta lo zio Podger si fosse sognato di piantare un chiodo nel muro, lei si augurava che la preavvisasse, dandole il tempo di prendere le sue misure per andare a passare una settimana con sua madre, intanto che si compiva l'impresa. "Oh, voialtre donne fate sempre un gran cancan per ogni nonnulla!" ribatteva lo zio Podger, riprendendosi. "A me piace tanto fare qualche lavoretto in casa." Poi, compiva un altro tentativo e, al secondo colpo, il chiodo penetrava tutto intero nell'intonaco e la testa del martello gli andava dietro per metà, cosicché lo zio Podger veniva proiettato contro il muro con una forza sufficiente ad appiattirgli il naso. Naturalmente, dovevamo rimetterci alla ricerca della riga e dello spago, e lui faceva un altro buco; verso la mezzanotte, il quadro era attaccato... storto e malsicuro, mentre la parete per qualche metro all'intorno aveva l'aria di essere stata grattata con un rastrello; e tutti eravamo stanchi morti, depressi... tutti, a eccezione dello zio Podger. "Ecco fatto!" esclamava, saltando pesantemente dalla sedia sui calli della donna di fatica e, osservando la devastazione compiuta, con palese orgoglio. "Diamine, tanti altri avrebbero chiamato un operaio per fare un lavoretto di questo genere!"
Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca (per non dir del cane)(1889); Bur, 1987.
Lo zio Podger appende il quadro "Tre uomini in barca (per non dir del cane)" La sera dunque ci riunimmo di nuovo per elaborare i nostri piani. Harris disse: "Ora, per prima cosa, dobbiamo decidere quel che porteremo con noi. Tu prendi un pezzo di carta e scrivi J., e tu, George, porti qui il listino del droghiere e anche una matita, dopo di che io preparerò l'elenco." Harris è fatto così... sempre pronto ad assumersi il gravame di tutto, e a scaricarlo sulle spalle altrui. Mi ricorda sempre il mio povero zio Podger. Non si è mai visto un trambusto come quello che accadeva in casa di mio zio Podger quando egli si disponeva a eseguire qualche lavoro domestico. Per esempio, c'era un quadro arrivato fresco dal corniciaio, ritto contro una parete della sala da pranzo, in attesa che qualcuno lo appendesse; la zia Podger domandava che cosa si doveva fare con quel quadro, e lo zio Podger rispondeva: "Oh, lascia fare a me. Nessuno se ne preoccupi, nessuno. Ci penso io." Allora si toglieva la giacca e cominciava. Mandava la domestica a comperare sei pence di chiodi, poi la faceva raggiungere da uno dei ragazzi per dirle quanto dovevano essere lunghi; e da quel momento, a poco a poco, mobilitava tutta la famiglia. "Tu vammi a prendere il martello, Will" gridava "e tu portami la riga, Tom; mi occorrerà la scaletta, e sarà meglio portarmi anche una sedia di cucina; ehi, Jim, corri dal signor Goggles e digli: "Il babbo le manda tanti saluti e spera che stia meglio della sua gamba e dice se può prestargli la sua livella". Tu, Maria, non te ne andare perché avrò bisogno di qualcuno che mi regga il lume; e quando la ragazza ritorna, bisognerà che esca di nuovo a prendere un pezzo di cordone da quadri; Tom!... dov'è Tom?... Tom, vieni qui; tu mi porgerai il quadro." Allora, lo zio sollevava il quadro, se lo lasciava sfuggire di mano e il quadro usciva dalla cornice; lui tentava di salvare il vetro e si tagliava un dito; dopo di che, si metteva a saltellare per la stanza, alla ricerca del proprio fazzoletto. Non riusciva a trovare il fazzoletto perché era nella tasca della giacca che si era tolto e lui non sapeva dove l'aveva messa e tutta la famiglia doveva sospendere la ricerca degli utensili per mettersi alla caccia della giacca; intanto, lui continuava a girare come una mosca senza testa, ostacolando le ricerche. "Insomma, non c'è proprio nessuno in tutta la casa che sappia dov'è la mia giacca? Non ho mai visto gente simile, in vita mia, parola d'onore. Siete in sei e non riuscite a trovare la giacca che mi sono tolto appena cinque minuti fa! Roba da matti..." In quel momento, si alzava dalla seggiola su cui, frattanto, si era lasciato cadere, e scopriva di essere stato seduto proprio sulla giacca. "Ormai, potete smettere di cercarla!" gridava allora. "L'ho trovata da solo. Se aspettavo che me la trovaste voialtri, tanto valeva che mi rivolgessi al gatto!" Quando poi si era sprecata una mezz'ora per medicargli il dito, si era provveduto un vetro nuovo, e gli utensili, la scaletta, la seggiola e la candela erano stati portati in sala, lo zio Podger faceva un altro tentativo, mentre tutta la famiglia, compresa la cameriera e la donna di fatica, gli formava attorno un semicerchio, pronta ad aiutare. Due persone dovevano tener ferma la sedia, un'altra doveva aiutarlo a salirci sopra e dargli una mano per stare in equilibrio, una quarta gli porgeva il chiodo, una quinta il martello, e lui prendeva il chiodo e lo lasciava cadere. "Ecco!" diceva in tono esulcerato "adesso, se n'è andato il chiodo." Noi dovevamo inginocchiarci tutti per esplorare il pavimento e cercare il chiodo, mentre lo zio brontolava e domandava se lo avremmo costretto a stare lassù tutta la sera. Finalmente, si trovava il chiodo, ma intanto lui aveva perso il martello. "Dov'è il martello? Dove ho cacciato il martello? Accidenti! Ve ne state lì in sette, a bocca aperta, e non sapete dove ho cacciato il martello!" Si trovava il martello, ma lui, intanto aveva perso di vista il segno che aveva fatto sulla parete per piantarci il chiodo; a uno a uno, salivamo tutti accanto a lui, sulla sedia, per vedere se ci riusciva di trovarlo; ognuno lo scopriva in un posto diverso, e lo zio ci dava degli imbecilli e ci ordinava di scendere. Prendeva la riga, misurava daccapo, constatava che il chiodo doveva distare dall'angolo la metà di settantacinque centimetri e sette millimetri, tentava di fare il calcolo a memoria e andava fuori dai gangheri. Ognuno di noi tentava, allora, di fare lo stesso calcolo a memoria, ma tutti arrivavamo ad un risultato diverso e ci deridevamo a vicenda. Nel trambusto generale, ci si dimenticava il numero originario e lo zio Podger doveva riprendere la misura. Questa volta, si serviva di un pezzo di spago, ma, al momento critico, quando, da quel vecchio tonto che era, si stava sporgendo dalla sedia a un angolo di quarantacinque gradi e tentava di raggiungere con la mano un punto che era almeno una spanna più in là del massimo cui poteva arrivare, lo spago gli sfuggiva dalle dita, e lui piombava sul pianoforte e produceva un efficace effetto musicale, colpendo i tasti simultaneamente con la testa e col corpo. La zia Maria diceva che non poteva permettere ai bambini di rimanere ad ascoltare il linguaggio dello zio Podger. Finalmente, lo zio riusciva a fissare di nuovo il punto dove andava piantato il chiodo, vi appoggiava la punta del chiodo con la sinistra e prendeva il martello con la destra, ma al primo colpo si schiacciava il pollice, dopo di che, con un grido di dolore,lasciava cadere il martello sui piedi di qualcuno. La zia Maria osservava blandamente che se un'altra volta lo zio Podger si fosse sognato di piantare un chiodo nel muro, lei si augurava che la preavvisasse, dandole il tempo di prendere le sue misure per andare a passare una settimana con sua madre, intanto che si compiva l'impresa. "Oh, voialtre donne fate sempre un gran cancan per ogni nonnulla!" ribatteva lo zio Podger, riprendendosi. "A me piace tanto fare qualche lavoretto in casa." Poi, compiva un altro tentativo e, al secondo colpo, il chiodo penetrava tutto intero nell'intonaco e la testa del martello gli andava dietro per metà, cosicché lo zio Podger veniva proiettato contro il muro con una forza sufficiente ad appiattirgli il naso. Naturalmente, dovevamo rimetterci alla ricerca della riga e dello spago, e lui faceva un altro buco; verso la mezzanotte, il quadro era attaccato... storto e malsicuro, mentre la parete per qualche metro all'intorno aveva l'aria di essere stata grattata con un rastrello; e tutti eravamo stanchi morti, depressi... tutti, a eccezione dello zio Podger. "Ecco fatto!" esclamava, saltando pesantemente dalla sedia sui calli della donna di fatica e, osservando la devastazione compiuta, con palese orgoglio. "Diamine, tanti altri avrebbero chiamato un operaio per fare un lavoretto di questo genere!"
Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca (per non dir del cane)(1889); Bur, 1987.